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I sogni segreti di Walter Mitty: la riscoperta dell'io

  • Anakin
  • 13 ott 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

Cosa serve per rendere memorabile un personaggio? E cosa per costruire attorno ad esso affezione da parte del pubblico? La giusta ricetta potrebbe essere riassunta dal film di cui parliamo oggi.

I sogni segreti di Walter Mitty, film del 2013 scritto, diretto, prodotto ed interpretato da Ben Stiller, racconta la storia di come un semplice impiegato sia riuscito a dare una svolta alla propria vita intraprendendo un’improbabile avventura.

Il nostro Walter è intrappolato in una routine noiosa e monotona che lo spinge ad estraniarsi frequentemente dal mondo che lo circonda, incantandosi e figurandosi una realtà alternativa.

Le sue immaginazioni portano a sequenze adrenaliniche, mozzafiato, frutto di un desiderio di rivalsa nei confronti di ciò che non va come lui vorrebbe.

La donna dei suoi sogni non lo calcola? Imbambolato alla stazione, un flash gli mostra come, con un gesto eroico degno del Batman di Christian Bale, potrebbe riuscire a conquistarla.

Sul lavoro il nuovo capo si fa beffe di lui? Tutto sarebbe diverso se avesse il potere e il carisma di ribellarsi come la sua immaginazione lo porta a fare.

Questo prima della vera svolta.


Come ho detto Walter Mitty è un impiegato, per la precisione lavora nell’ufficio sviluppo negativi della redazione di una rivista fotografica. Un noto fotografo, Sean O’Connell, fornisce periodicamente scatti di meraviglie naturali sparse per il mondo. Sean, in anni di onorata carriera, si fida ciecamente di Walter tanto che spedisce proprio a lui il negativo di quella che pare essere la sua foto migliore. Nel tentativo di ritrovare il negativo e salvare il proprio impiego, Walter Mitty partirà alla ricerca del fotografo.


Le visioni del protagonista ad inizio pellicola sono un efficace espediente narrativo. Sono quelle visioni a plasmare l’opinione che si forma lo spettatore del povero impiegato stralunato: è forte l’empatia che si prova a vedere come pur di fuggire dalla propria realtà egli se ne ricrei un’altra, pressoché istantaneamente.

E fa quasi tenerezza vedere il pulcino uscire dal nido, nel momento in cui Walter si ritrova obbligato ad intraprendere un viaggio apparentemente non alla sua portata. Ma è proprio questo che genera l’affezione di cui sopra.


Lo spettatore, che vede un personaggio vittima di situazioni e tematiche a lui stesso familiari, è incentivato a fare il tifo per lui. L’affezione si trasforma in vera e propria empatia nel momento in cui il film mostra come da quegli ostacoli riesca ad uscirne indenne persino un personaggio all'apparenza debole e impacciato come Walter Mitty.


L’evoluzione di un personaggio è la migliore arma che abbia l’autore per dargli un’anima che risulti vicina ed apprezzabile dal pubblico: quando l’impiegato di Life, la rivista, da inetto ed emarginato che era, torna ad apprezzare il proprio presente senza più doversi rifugiare nelle fantasticherie fornitegli da una fervida immaginazione, lo spettatore gioisce catarticamente per lui. Ed il finale, pur nella sua semplicità, racchiude contemporaneamente nostalgia e commozione, tra l’oraziano messaggio di saper cogliere l’attimo e la genuina emozione nel vedere un personaggio idealmente tanto vicino a noi compiere il giusto processo di evoluzione.


Walter Mitty è la giusta metafora dell’io interiore che dimora in gran parte di noi. Stressato, recluso ed oppresso a causa di una serie di circostanze dalle quali si ritrova dipendente, è incapace di sfuggirvi anche e soprattutto per colpa di sé stesso: il tentativo di uscire da quel nido, in parte auto costruito ed in parte fornito dalle stesse circostanze, fa paura ed è pericoloso. Pericolo dato dal fatto che l’insicurezza ricorda sempre a Walter, come al Walter interiore dello spettatore, che il tentativo di cambiamento possa solo portare ad un epilogo degno dei Malavoglia.

Ma il nostro impiegato, un po’ per caso ed un po’ perché spinto da un desiderio quasi trascendente (pertanto semi inconsapevole) di rivalsa nei confronti di questa morale dell’ostrica, il becco fuori dal nido lo mette eccome.

Risultato? Quel senso difficilmente descrivibile se non con “tenerezza”.

Suscita tenerezza infatti vedere come il nostro si arrischi ad un viaggio che, intuitane la portata, lo spaventa. Quella non è un’avventura alla portata del vecchio Walter Mitty, lui stesso se ne accorge, ma è il primo tassello di un puzzle che darà a lui per primo la nuova(o forse la vera?) immagine di sé stesso.




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