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The Wolf of Wall Street: vendimi questo film

  • Anakin
  • 21 ago 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

Molto superficialmente si potrebbe descrivere il film di cui parleremo oggi con tre parole: fuck, fuck e ancora fuck. Chi infatti non ha apprezzato The wolf of Wall Street, 2013, per la regia di Martin Scorsese, ha colto solamente il lato bonario e volutamente volgare del film, in cui il termine in questione viene pronunciato 506 volte. Un’inezia.



In effetti esteriormente siamo di fronte ad una storia che nel linguaggio presenta probabilmente la cosa meno volgare, tra scene di sesso, violenza gratuita, concezioni totalmente immorali ed esagerate della vita stessa, in un cocktail di caricature e, appunto, di esagerazioni che servono a Scorsese per raccontarci il mondo degli eccessi di Wall Street.

Jordan Beltfort è un broker alle prime armi. Dopo un inizio piuttosto soddisfacente a Wall Street progetta di fare fortuna e costruirsi una vita agiata e felice con la moglie.

Quando però tutto sembra andare per il meglio si scatena la bufera del celebre lunedì nero del 1987 e Jordan si trova senza lavoro, costretto a ricominciare da capo. Da dove? In un centro investimenti.

Qui il nostro si trova a vendere per telefono azioni di società di poco conto per cifre molto modeste ma sulle quali ottiene introiti del 50% della vendita contro l’1 delle cosiddette azioni blue chip.

Da qui l’idea geniale: riuscire fondare una propria società di broker che venda azioni reali a prezzo delle penny stock, quelle su cui il ricavato era come detto prima vertiginosamente più alto.

Con la rapida ascesa della Stratton Oakmont, la neonata azienda del broker interpretato da un sontuoso Di Caprio, iniziano a nascere le prime complicazioni della storia: sul fronte privato Jordan incontrerà la bellissima Naomi(questo film ha la colpa di avermi fatto conoscere e innamorare di Margot Robbie) che metterà in crisi il suo matrimonio e il rumore del successo della compagnia giungerà sino alle orecchie dell’F.B.I.

Ok a grandi linee la trama è questa ma il punto è: cosa rende attraente questo film ai detentori dello stesso, me compreso? DiCaprio.

Al di là di tutte le gag, di tutti i momenti comici, di tutte le situazioni costruite apposta per dare spessore al lato meno serioso del film, ciò che più risulta dalle oltre due ore e mezza di riprese è la prestazione del buon Leonardo e della costruzione, tipica di Scorsese, del personaggio principale. Tutti sono affascinati dai villain delle storie(vedi il Joker del cavaliere oscuro) i quali siano stati ben costruiti. Scorsese sa giocare con questo fascino che ispira il male e farcisce la pellicola di esempi dell’eccesso, dell’esagerazione, crea su di essi parti comiche e ammiccanti nei confronti dello spettatore fino a ribaltare il concetto di bene e male, convincendo quasi che quel tipo di vita, quel tipo di linea di condotta, siano le migliori e in fin dei conti paghino. Quella di Jordan Belfort potremmo quasi chiamarla parabola dell’antieroe, atta a dimostrare i reali risultati che portano tali eccessi, salvo poi, con “scorsesiana ironia”, strizzare nuovamente l’occhio allo spettatore sul finale mostrando nuovamente il nostro antieroe come un vincente, o comunque non come uno sconfitto, perorando ancora una volta la causa di un “male” che è sempre un po’ allettante.

The Wolf of Wall Street ha dunque una sua morale, un messaggio, pur di natura “scorsesiana”. Tutto questo arriva però servito dopo un lungo banchetto a base del surreale, di cui è impossibile non parlare. Questo è un film che, senza mezzi termini, o si ama alla follia o si schifa totalmente. O finirete di vedere il film sapendo a memoria più di metà delle battute clou oppure non riuscirete proprio di finire di vederlo. Indubbiamente non è un film per tutti, e non mi riferisco solo al fatto che ovviamente data la mole impressionante di scene non assolutamente consigliate a bambini o ragazzini, in quanto questo tipo di incedere della trama a suon di parolacce, pippate di cocaina e chi più ne ha più ne metta, potrebbe sembrare oscurare lo scopo primario di una produzione cinematografica, ma non credo sia così in questo caso. L’approccio più adeguato a tale film dovrebbe essere infatti quello della ricerca di una qualche forma di


catarsi: di fronte ad un milionario che tenta di corrompere due agenti di polizia ma finisce con il cacciarli dal proprio yacht lanciando banconote e aragoste, di fronte ad un marito che tradisce la moglie ed essendosi sentito un verme per pochi secondi il giorno dopo chiede il divorzio e chiama l’amante, di fronte ai discorsi allucinanti fatti dal maestro di Jordan circa l’utilizzo di droghe per aiutarsi con il proprio lavoro, mentre l’istinto ci porta a ridere per come la scena viene costruita l’intelletto ci comunica che il riso dato dalla visione di tali situazioni sia dato dalla completa assurdità delle stesse, non da un qualsiasi senso di attrazione a queste. E visto in quest’ottica The Wolf of Wall Street assume la valenza di uno dei film che mi abbia fatto più sbellicare negli ultimi anni, c’è poco da fare.

L'unico mio consiglio è di consumarne la visione insieme ad un gruppo di amici: vederlo insieme alla propria ragazza o ai propri genitori potrebbe causare quel genere di imbarazzo che fa durare il film intorno alle 4-5 percepite in più.


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